La fauna
ASPETTO NATURALISTICO
La gestione del patrimonio silvo-pastorale regoliero, come tutte le attività umane della zona, ha ricadute anche sugli equilibri ecosistemici, specialmente per quanto riguarda gli animali selvatici.
In questo contesto esistono specie di uccelli e mammiferi particolarmente legate agli ambienti forestali e agli spazi aperti di alta quota.
Fra gli uccelli, le famiglie dei tetraonidi e dei fasianidi raggruppano specie di particolare pregio faunistico le quali, per vari motivi, denunciano una contrazione della loro presenza nei rispettivi ambienti.
Se attualmente sembrano non destare particolare preoccupazione la situazione del gallo cedrone (Tetrao urogallus), abitante di pinete e peccete anche dense dai 1.000 m s.l.m. al limite della vegetazione arborea e del francolino di monte (Bonasa bonasia), il tetraonide attualmente più diffuso sulla destra orografica della valle fino ai 1.500 m s.l.m., diverso è il discorso che riguarda il gallo forcello (Tetrao tetrix), le uova del quale vengono deposte a terra, fra i cespugli, tra fine aprile e fine giugno (talvolta fino alla prima quindicina di luglio) e sono notoriamente soggette a un elevato rischio di predazione da parte della fauna selvatica.
L’abbandono dell’attività zootecnica in montagna e il disturbo arrecato dall’afflusso turistico, sembrano invece essere la causa della diminuzione delle popolazioni di pernice bianca (Lagopus mutus), abitante dei ghiaioni, delle rocce, delle brughiere e, in genere, di luoghi freddi e fortemente innevati sopra il limite della vegetazione arborea.
Le modificazioni dell’ambiente montano sono da ritenersi determinanti anche per la coturnice (Alectoris greca). In questo caso tuttavia la conclamata riduzione della popolazione non è adeguatamente supportata da dati e indagini specifiche.
Per quanto riguarda i boschi, sono degne di menzione alcune specie di picidi, che fortunatamente non presentano emergenze legate alla consistenza demografica o al mutamento delle condizioni ambientali.
Tra le specie avvistate si citano il picchio nero (Dryocopus martius) e il picchio tridattilo (Picoides tridactylus), mentre si ritiene molto probabile la presenza del picchio cenerino (Picus canus).
L’importanza ecologica dei picchi è limitata ad una debole predazione nei confronti degli insetti parassiti e alla capacità di realizzare cavità negli alberi in piedi, attitudini che contribuiscono a migliorare la qualità degli habitat forestali.
I MAMIFERI
Passando ai mammiferi, tra gli ungulati si annoverano lo stambecco (Capra Ibex), il camoscio (Rupicapra rupicapra), il cervo (Cervus elaphus) e il capriolo (Capreolus capreolus)
Tra questi, solamente i Cervidi (cervo e capriolo) rivestono un certo interesse sotto il profilo della gestione selvicolturale, poiché maggiormente legati all’ambiente forestale.
Il capriolo occupa da sempre le valli del Cadore. Il cervo invece si è diffuso nella Valle del Boite tra gli anni ’60 e ’70.
Le operazioni di censimento svolte dalla Riserva di Caccia di San Vito forniscono dati aggiornati al 2005 solamente per il cervo, con una popolazione stimata di oltre 230 capi e per il camoscio (100 capi), mentre per il capriolo vale ancora il censimento del 2002, che contava 200 capi (95 maschi e 105 femmine).
La progressiva espansione del bosco, la conseguente riduzione della variabilità ambientale (alternanza bosco-spazi aperti), la maggiore vulnerabilità del capriolo nei confronti dei rigori dell’inverno nonché il considerevole vantaggio dimensionale e la maggiore versatilità del cervo, possono essere considerate le principali cause della tendenza di lungo periodo al calo della popolazione di capriolo rispetto all’incremento di quella del cervo.
I dati degli ultimi censimenti rivelano tuttavia che le popolazioni dei due ungulati si mantengono sostanzialmente costanti all’interno della riserva di caccia sanvitese.